Le tre ore di percorso lungo la nuova “Grande Via della Seta” che avvicina la Cina a Uzbekistan, Kazakistan e Kirghizistan, sono interrotte da una deviazione. Suscita curiosità la strana forma conica di una collina isolata che svetta alta tra la sabbia rossa del deserto. Si tratta in realtà di Chilpyk Kala, una fortezza di fango costruita più di 2200 anni fa sulle rive dell’Amu Daria e che lentamente si sta sciogliendo. Qui gli Zoroastriani lasciavano i defunti sulla torre per farli mangiare dai rapaci. Una purificazione naturale che impediva di contaminare il terreno con gli organi deteriorati. Solo dopo, le ossa sono venivano raccolte in vasi di terracotta e seppellite.
Arrivare a Khiva al tramonto di una giornata di aprile è una esperienza indimenticabile. L’antica città fondata da Sem, figlio maggiore di Noè, è racchiusa nella sua cinta muraria di fango. La luce rossa del sole infuoca le pareti di fango delle case; i minareti adornati con maioliche verdi, blu e azzurre cambiano tonalità ogni minuto. Lentamente le persone escono in strada per beneficiare della brezza serale. Nel cortile del Kuna Ark, il palazzo dei Khan di Khiva, a volte uno spettacolo riunisce le famiglie e i giovani, madrase secolari e moschee imponenti, bambini e ragazzi organizzano partite di pallone. Le ragazze guardano divertite sedute su lettoni di legno coperti di cuscini presenti in ogni angolo della città. Nelle botteghe gli artigiani del legno mostrano i loro lavori e si occupano dei giovani apprendisti dell’arte dell’intaglio.
Dai vicoli spuntano la raffinata madrasa diMohamed Amin Khan, il minareto Kalta Minor, il palazzo Tosh-Hovli con le sue 150 stanze e il meraviglioso harem da mille e una notte chiuso solo negli anni ’20 del '900 dai bolscevichi. Del X secolo è la Moschea Juma la cui eleganza lascia senza fiato. Una foresta di 250 colonne in legno intarsiato circondano la fontana invitando immediatamente alla meditazione e al raccoglimento. Prima di uscire dalla città attraverso la Polvon-Darvozache, porta d’accesso delle carovane di schiavi, e nei pressi della statua del matematico del IX secolo al-Khuwarizmi (dal cui nome deriva il termine algoritmo) e autore dello studio sulle equazioni lineari “al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa al-muqābala” (da cui algebra), merita fermarsi a gustare un magnifico plov al Silk Road Restaurant. Conosciuto già ai tempi della conquista di Alessandro Magno, il plov è il piatto tradizionale a base di riso cotto lentamente nello zirvak, un ricco sughetto a base di carne e verdure che viene assorbito piano piano.